Recensioni
La sua pittura iperrealista immersa nella solitudine degli spazi aperti della provincia urbana appare ispirata alla lezione del pittore americano Edward Hopper,riferimento essenziale di un modo d’intendere l’arte come visione della realtà trasfigurata da una sensibilità interiore che rilegge le cose più comuni del panorama urbano e provinciale come altrettanti segni di una illuminazione, di uno squarcio di verità che si apre sul fondale teatrale di una siffatta realtà a noi comune e indifferente, dietro la realtà metafisica che cerca anche de Chirico e che in pittura viene affidata alle prospettive e alla luce, alla composizione degli spazi. È l’attenzione ai dettagli minimi dell’esistente che porta Morandi a ritrarre una mano che posa una sigaretta nel posacenere, oppure le innumerevoli viste di auto su strade ampie, assolate e deserte. Questa pittura, che apre gli spazi e s’immerge nei silenzi, ricorda alcune mirabili inquadrature dei film di Michelangelo Antonioni.
Nicola Angerame
Gli “istanti” in bianco e nero di Maurizio Morandi
Come scatti fotografici, frammenti di memoria, quaderni di vita, gli acrilici dell’artista di Gallarate Maurizio Morandi ridisegnano il tempo “in bianco e nero” dei mitici anni ’50 e ’60.
Ad emergere sospesi, immortalati, catturati nel loro istante di trionfo, sono i ritagli giornalistici e cinematografici delle immagini impresse sulla “pellicola dei sogni” di Morandi.
Fotogrammi da “Il delitto perfetto”, “Pleasantville”, “Il grande Lebowski”, l’attimo fuggente dei ciclisti in corsa o il salto di un giovanotto sulla sua smagliante auto da corsa, sono i colpi di fulmine dell’artista verso un orizzonte passato ma vivo, mitizzato quanto vibrante di una vociante comunicatività.
La curiosa percezione di un “fermo-immagine” nelle opere di Morandi, è infatti vivificata dal sentore che qualcosa debba accadere; che ad un tratto i personaggi, dipinti con impeccabile perfezione, continuino a fare ciò che si erano ripromessi, prima di essere immortalati per sempre nel vissuto e nell’occhio dell’artista.
Ci si aspetta allora di sentire il ruggire di un motore o la tenue e rassicurante colonna sonora di una calda giornata di ferie “anni 60”. Per un attimo tutto si anima, sugli sfondi colorati che Morandi dona alle immagini come accesa testimonianza di un presente emotivo che dialoga con la propria storia.
Viola Lilith Russi
(da “Il corriere dell’Arte”, maggio 2005)
Il vissuto e il sogno
“…da quel momento, dovevo accettare di mescolare due voci: quella della banalità (dire ciò che il mondo vede e sa) e quella della singolarità (recuperare questa banalità con tutto lo slancio di un’emozione che appartenesse solo a me)”
Roland Barthes
L’universo e il singolo sono parte del mondo interiore ed esteriore degli acrilici su tela di Maurizio Morandi che evoca nelle sue opere la POP art e l’iperrealismo americano. Le “due voci” di Roland Barthes rendono l’idea di completezza del generale con il particolare: quello che un momento della storia ha rappresentato per il mondo, unito ma distinto dall’emozione vissuta in modo peculiare dall’artista. Il passato s’incontra con la realtà di oggi, un tempo anacronistico ma non utopico, esistito ma non più attuale, un viaggio nel passato con segni e nuances che provengono dalla “regione” interiore dell’artista stesso ridimensionato alla vita odierna. I personaggi sono come fermi nel tempo, immortalati in colori accesi ma resi vivi da un’idea di naturalezza e di movimento che li contestualizza nella contemporaneità. Morandi crea una luminosità estesa che traduce in presente la storia passata trasformando attraverso le proprie emozioni la realtà in un sogno che rinasce tra linee sinuose, morbide, sensuali e visionarie. Ogni tela si caratterizza infatti per un suo colore che potrebbe differenziare le diverse suggestioni impresse nella mente e nella percezione dell’esteta, un universo plurisegnico e policromatico emblema del riflesso creativo dell’artista. Sogni, miti degli anni ‘50-‘60 vagano come nuvole nella memoria e assumono forme nuove e dinamiche da rivivere oggi con “affetti” diversi. Il mito viene presentato di per se stesso in un luogo “non-luogo”: le figure sono raffigurate in modo spontaneo ma con uno sfondo definito da una ricchezza coloristica accesa come l’arancio, il giallo, l’azzurro che tende ad isolare il soggetto o il fatto lasciando perdere il luogo e l’ambiente come se l’artista volesse annullare il tempo. Mesciulam nel 1976 scrive: “ostento con gesto trionfale il minimo gesto dell’uomo” così Morandi isola i suoi miti in scene o gesti ricchi di carica simbolica, veri e propri oggetti di culto che richiamano i film e i media degli anni dei Kennedy o delle scene di Alfred Hitchcock. Tale ostentazione è facilmente riconoscibile nelle opere chiamate “Pleasantville”, “L’alibi era perfetto”, “Springtime in Washingston ” dove i soggetti ritratti lasciano sicuramente un’ impronta sullo spettatore. I personaggi di Morandi vivono ancora in una loro dimensione o sono fantasmi di tempi ormai lontani?
Valentina Perasso